A quasi un anno di distanza dalla abrogazione dei commi 2 e 3 della L. 342/2000, che ha sancito l’eliminazione delle agevolazioni fiscali per i veicoli storici di età compresa tra i 20 e i 29 anni di età, il dibattito sul tema non sembra ancora essersi affievolito. Per fare chiarezza e, soprattutto, per stimolare la riflessione sul futuro dei veicoli storici in Italia, vi offriamo una panoramica comparativa della situazione europea.
Troppo spesso, infatti, le analisi sul settore si sono basate su considerazioni parziali e argomenti propagandistici, arrivando a conclusioni altrettanto errate, quali ad esempio la necessità di svecchiare il parco auto italiano (anche qui ci sarebbe molto da discutere); la necessità di sanzionare i cosiddetti “furbetti”, che secondo queste analisi sembrerebbero essere la maggioranza; da ultimo la necessità di un presunto allineamento al panorama legislativo europeo, con conseguente innalzamento dell’età minima dei veicoli storici a 30 anni.
Ma è davvero così? Con l’ultima Finanziaria ci siamo davvero allineati al resto d’Europa? Siamo diventati finalmente un paese civile? Proviamo a vedere la questione nel dettaglio.
Iniziamo col dire che la Legge Finanziaria 2015 – o Legge di Stabilità, come si dice oggigiorno – non ha agito sullo status di veicolo storico in generale, ma semplicemente sulle sue implicazioni economiche nei confronti dello Stato, in parole povere ha agito solo sulle tasse gravanti sui veicoli. Quindi, nella nostra analisi prenderemo in considerazione solo questo aspetto, tralasciando per il momento altre importanti questioni -circolazione, reimmatricolazione, etc. etc. – e, prendendo come campione di riferimento le quattro economie più assimilabili a quella italiana, nonché i quattro paesi che manifestano un maggiore interesse negli investimenti sulle auto d’epoca. Analizzeremo come viene applicato il bollo auto – non solo quello storico – nei principali paesi europei per rispondere a una domanda semplice, ma fondamentale: gli italiani pagano come i cittadini degli altri paesi quando si tratta di auto e moto?
– Germania: in Germania il bollo è tassa di circolazione. Qualora il veicolo non circoli, le targhe vanno riconsegnate alla motorizzazione e non è dovuta alcuna tassa. Il bollo si calcola a scaglioni che variano a seconda della potenza e del tipo di alimentazione del motore. Difficile stabilire un confronto, anche se in linea di massima i veicoli a benzina e quelli più recenti pagano nettamente di meno. Senza contare che in Germania inoltre non esiste il cosiddetto “superbollo”.
– Regno Unito: anche nel Regno Unito vige la tassa è circolazione. Annuale, semestrale o mensile a seconda dell’utilizzo, essa è calcolata in base a due parametri: tipologia di carburante e classe di emissione. Le tariffe sono mediamente più convenienti di quelle italiane, anche se si attende una stangata per il 2017 sui veicoli più inquinanti.
– Francia: la tassa automobilistica è completamente abrogata. Attraverso un rincaro sulle accise sul carburante, che però si mantengono a livelli inferiori rispetto a quelle italiane, i cittadini francesi pagano l’utilizzo delle infrastrutture e sui consumi del proprio veicolo.
A nostro modo di vedere la soluzione più equa possibile, anche se difficilmente realizzabile in Italia, viste le accise già elevate.
– Spagna: La Spagna prevede come l’Italia una tassa di proprietà che tuttavia cessa di essere dovuta ai 25 anni del veicolo. L’ammontare dell’imposta, che varia in base alla destinazione d’uso e alla potenza/portata del veicolo, non supera nel peggiore dei casi i 300 euro annui.
Cosa possiamo dedurre da questa breve escursione nelle UE? Che le legislazioni dei principali paesi europei si differenziano in maniera netta da quella italiana per:
1) Prevalenza della tassa sulla circolazione. La tassa automobilistica si paga per i veicoli che effettivamente circolano su pubblica strada. E’ quindi possibile conservare in garage un veicolo senza dover versare alcuna imposta, cosa che farebbe molto comodo a chi di auto fa collezione.
2) Costi inferiori. Il range dei costi va da mediamente inferiore a nettamente inferiore. Una differenza che si commenta da sola.
3) Cultura del controllo a posteriori. Come è noto, in Italia la tassa sui veicoli è diventata “di possesso” nel 1985, quando i legislatori decisero di contrastare il rischio evasione a monte. Come succede anche in altri ambiti, la Legge Italiana tende ad essere punitiva ex-ante, anzichè ex-post, caricando il cittadino di obblighi e gabelle “prima”, piuttosto che “durante” l’accesso a un procedimento o a un servizio. In Gran Bretagna, per fare un esempio, vige l’obbligo di conservazione della ricevuta di pagamento in auto, con sanzioni severe per i trasgressori.
Al netto della legislazione specifica sui veicoli d’epoca – che affronteremo nella seconda parte della nostra analisi di prossima pubblicazione – una considerazione sorge spontanea: In Italia possedere e conservare un veicolo è sicuramente più oneroso e questo fin dal primo giorno di immatricolazione. Il nostro è il Paese che registra la pressione fiscale più alta per quanto riguarda le tasse automobilistiche, con l’ulteriore aggravante che tale tassa è legata al possesso del veicolo e non alla sua effettiva circolazione. Tutto questo con buona pace dei collezionisti di youngtimer che, già oberati di tasse rispetto ai collezionisti europei, hanno visto i loro sforzi vanificati dal famigerato comma 666 della Legge di Stabilità 2015.
Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.