“In Italia oltre 4 milioni di veicoli hanno più di 20 anni di età. Pensare che tutte abbiano un valore storico è una follia che rischia di compromettere la credibilità e l'esistenza stessa del collezionismo”.
Con queste parole e con queste premesse, che annunciavano una svolta epocale nel mondo del motorismo storico, il Presidente dell’ACI, Angelo Sticchi Damiani, da poco insediatosi, annunciava nel 2013 la nascita di ACI Storico.
Tuttavia a questa premessa – forse chiara; probabilmente banale; certamente basata su numeri mai del tutto verificati – sono seguite, da parte del Automobile Club Italiano, una serie di inziative che, fino ad oggi, hanno lasciato più dubbi che certezze.
E’ noto infatti come la proposta di ACI, diffusa tramite il novissimo marchio ACI Storico, sia stata fin dall’inizio quella di preparare una lista tassativa di modelli ai quali riservare le esenzioni. Detto in soldoni, la tua auto è nella lista? Sei apposto e puoi pagare il bollo ridotto; se invece la lista esclude il tuo modello, non puoi null’altro che attaccarti al tram – anche in senso letterale, visto che, con ogni probabilità finirai col rottamare la tua cara vecchietta.
Fin da subito il RIVS ha evidenziato le lacune di una lista redatta da un non meglio specificato comitato di (anonimi) esperti: chi può garantire che ogni singolo veicolo circolante appartenente a uno dei modelli presenti nella lista sia almeno in buono stato? Non è forse meglio rifarsi su utilizzo e stato di conservazione, senza penalizzazione a priori determinati modelli? Questi e altri dubbi hanno fatto si che tale proposta venisse accolta con una certa freddezza dall’ambiente del motorismo storico.
Gli stessi dubbi, nel frattempo devono aver colpito anche ACI che ha provveduto ad istituire, oltre alla lista, anche un Registro, con relative modalità di iscrizione e costi, non certo popolari. Un Albo ufficiale di veicoli certificati che sembra contraddire le parole dello stesso Sticchi Damiani, secondo il quale la lista avrebbe eliminato l’obbligo di iscrizione non solo ad ASI ma a qualsiasi club, in quanto riferimento universale per istituzioni e assicurazioni nel concedere il riconoscimento di storicità ad un determinato veicolo.
È lecito allora domandarsi: perché creare un albo quando esiste la lista? Che vantaggi corrispondono al rilascio del certificato ACI? Ha più valore il modello o lo stato di conservazione? E, una volta che l’albo sarà pieno al punto giusto, non c’è il rischio che nelle comunicazioni l’albo degli iscritti sostituisca la lista?
Poco convincente sembra anche la proposta di convertire i punti ACI in club e associazioni, che notoriamente sono organizzazioni libere di persone che condividono la stessa passione e per passione organizzano eventi e raduni. E’ davvero possibile paragonare un club a un mero “centro servizi”?
Ancora un’ultima domanda: perché, se l’intento è quello di cambiare in meglio il mondo dei veicoli storici, non si è mai cercato la collaborazione di chi nel settore opera da ben più tempo e ne conosce limiti e potenzialità? Perché non coinvolgere i registri esistenti nel dialogo con le istituzioni e nella stesura della lista? Ma soprattutto: qual è il vero obiettivo che un’azione così solitaria si pone?